Economia programmata partecipata che produce per il profitto?
Ha senso un’economia programmata partecipata che produce per il profitto?
Risposta breve
Risulta praticamente impossibile perché il benessere collettivo, espresso ad esempio materialmente tramite gli stipendi, risulta in conflitto con il profitto privato. Privato nel caso di una economia, programmata o meno, significa un pugno di grosse aziende private, quindi profitti di grossi azionisti-soci, spesso famiglie. Un’economia dominata da pochi grossi privati risulta una cosa piuttosto rara, ad esempio la Corea del Sud. In linea di massima solo le grandi aziende, indipendentemente se pubbliche e private, hanno i numeri per fare pianificazione.
Risposta lunga
Ci serve introdurre un concetto fondamentale dell’economia politica: il valore di una merce (un bene o un servizio) viene principalmente determinato dalla quantità di lavoro necessario per una organizzazione per produrla. Valore, non prezzo. Parola volutamente astratta. Non si tratta del lavoro impiegato da un singolo lavoratore, ma del lavoro medio richiesto in una determinata organizzazione, con un dato livello di tecnologia e produttività, per produrre quella merce. Questo concetto prende il nome di legge del valore. Per capirci, una spiga di grano ha meno valore di un pezzo di pane, in quanto il pane ha subito varie lavorazioni, sia da mani che da macchine. Questa legge diventa visibile e concreta tramite il prezzo: il valore di scambio delle merci. I prezzi tracciano il valore in maniera fluttuante, tramite domanda e offerta, informazioni. La concretezza del valore ha anche un altro lato della medaglia, il valore d’uso: nel caso del pane, soddisfare un bisogno umano di nome sicurezza alimentare (o turismo del gusto).
La legge del valore opera attraverso il mercato. In un sistema per il profitto, le imprese competono per sopravvivere e prosperare. L’ottimizzazione del profitto guida la competizione e segnala la prosperità, questo significa anche la capacità di vendere merci al di sopra del loro costo di produzione, per realizzare profitti.
Conseguenze
Anche se un’impresa viene gestita in maniera partecipata dai lavoratori e potrebbero voler prendere decisioni basate su criteri sociali, ambientali, di benessere dei lavoratori, o di utilità sociale, la necessità di competere nel mercato, ad esempio non alzando i salari perché i profitti servono a comprare un macchinario, mostra che la legge detta le regole, non la gestione interna (in questo caso la partecipazione). In altre parole, il mercato dice come comportarsi ai lavoratori (es. manager), non viceversa. Detta in maniera meno brutale: i lavoratori parteciperebbero molto meno di quanto vorrebbero, perché esiste qualcosa di molto più grande di loro che guida molti comportamenti. Ho già citato le macchine due volte e non si tratta di un caso: abbassano la quantità del lavoro medio richiesto, quindi le aziende hanno un forte incentivo per ridurre la quantità di lavoro proveniente da mani e teste, in genere la voce principale dei costi che si riflette sul prezzo. Ancora una volta, l’obiettivo, il profitto, suggerisce le strategie.
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Esperienze storiche
storicamente si può solo parlare di economie un po’ programmate e un po’ partecipate che producono per il profitto, che ha vari nomi: partecipazione all’utile, ossia ciò che rimane dopo aver pagato le imposte sui profitti, o cogestione. E se questa cosa risulta poco diffusa deriva anche dal fatto che persino quel po’ di partecipazione ostacola i profitti. Senza aprire una grossa parentesi, il consiglio di amministrazione di una grossa azienda ha amministratori votati da azionisti-soci: gli amministratori nella maggioranza dei casi hanno incentivi per profitti di breve termine perché altrimenti vengono licenziati. Delocalizzare prenderebbe due piccioni con una fava: aumenterebbe i profitti, renderebbe più fluido il flusso decisionale in quanto avrebbero meno lavoratori nel consiglio, che quando va male hanno interessi opposti a loro (i bisogni), ma col tempo verrebbero comunque neutralizzati dalla legge del valore, perché, di nuovo, non si può cambiare con la buona volontà una stanza di bottoni nata per uno scopo specifico (i profitti). Questo chiaramente non esclude casi di cogestione reputabili un successo per un tot numero di anni.
Esistono poi le aziende cooperative (es. Coop, Mondragon) dove abbiamo sicuramente partecipazione. Quindi i lavoratori sicuramente hanno più peso di una società per azioni cogestita. Anche le cooperative però operano all’interno di un sistema dominato dalla legge del valore. Quindi valgono grossomodo le considerazioni di sopra.
Legge naturale o legge divina?
La legge del valore può sembrare una forza soprannaturale, anche a causa del nome forte legge. Può ricordare certe opere fantasy, come Berserk: un luogo cupo e crudele, con una forte sensazione di impotenza di fronte al destino apparentemente segnato e con forze oscure che governano il mondo. Gli umani spesso diventano vittime, pedine, di un sistema più grande di loro. Da notare come in Berserk il sistema viene perpetuato tramite un rituale, l’Eclissi, che nel pratico significa un sacrificio di massa raccapricciante.
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