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Le tragedie del profitto: paradiso privato, inferno pubblico

Le tragedie del profitto: paradiso privato, inferno pubblico

Il profitto non va visto a prescindere come male assoluto, anche perché nel modello proposto in questo sito esiste, ma ha un nome diverso, il che può sembrare una contraddizione disonesta, un po’ come la finanza cattolica o islamica. Ma esistono degli inseguitori di profitto, aziende, che, per le loro dimensioni, hanno più effetti a livello globale. Il caso più tragico della storia viene dal successo industriale della Germania, da cui si possono trarre numerose lezioni per il presente.

Rivoluzione industriale

La Germania nel 1900 aveva il secondo posto in Europa secondo un termine di industrializzazione. Le grandi aziende industriali o meccanizzate richiedono denaro immobilizzato sotto forma di grossi macchinari, che consente di produrre in grandi volumi per ridurre il costo medio per unità prodotta, detta anche economia di scala. A differenza dei lavoratori, il loro costo viene spalmato negli anni, quindi serve avere un flusso costante di vendite negli anni per smaltire quei grandi volumi per coprire i costi che li permettono (i macchinari ad esempio). Se le vendite si fermano o rallentano drasticamente, l’azienda inizia ad avere problemi.

L’intoppo della grande industria

Le grandi aziende spesso hanno dimensionato la loro produzione in base a tutti i territori in cui vendono. Infatti vendere all’estero fa parte di una strategia per aumentare i volumi per aumentare il volume del profitto. Quando però dall’estero iniziano ad avere meno disponibilità economiche, o meno domanda, ed iniziano ad ostacolare merci estere, o dazi, le grandi aziende possono iniziare ad accumulare giacenze, iniziano a fermare le macchine e licenziare, con ricadute sul benessere collettivo. Ecco la tempesta perfetta della Grande Depressione degli anni 30 in Germania: –40% del reddito nazionale (come negli USA). Tra l’estate del 1929 e l’inizio del 1932, la disoccupazione tedesca passò da poco meno di 1,3 milioni a oltre 6 milioni, con un aumento del tasso di disoccupazione dal 4,5% della forza lavoro al 24%.

La psicologia collettiva delle grandi aziende

la rivoluzione industriale aumenta il benessere ma questo benessere materiale, permesso dal costo di produzione medio ridotto, richiede volumi costanti. E quando si perde lo stile di vita permesso dai volumi di profitti, generalmente si fa di tutto per tornare al passato di benessere. Da una parte il Regno Unito, concorrente industriale (guardare primo grafico) e nemico dalla prima guerra mondiale, propose prestiti per tamponare la situazione. Ma questo avrebbe ridotto la sovranità tedesca: come si dice, chi paga (o aiuta) decide la musica da suonare (far fuori un concorrente), e in un paese “nazionalmente orgoglioso” come la Germania, questo stava fuori discussione. Ma in un contesto internazionale bloccato dai dazi ed altro, come “ritornare al passato”? Prendersi i mercati esteri con la forza. Il tragico “dove non passano le merci, passano gli eserciti”. Da qui si capisce come vengono impiegati gran parte dei disoccupati.

Il resto fa parte della storia

quali mercati vengono conquistati prima, conditi da motivazioni tutt’altro che economiche? Ovviamente gli alleati del concorrente del Regno Unito: Polonia e Francia. L’attacco frontale avverrà più tardi, anche nelle periferie dell’impero britannico, ossia le colonie in Africa. Ma quel lavoro di periferia verrà iniziato dall’Italia fascista.

La dipendenza della grande industria dai profitti

in genere le grandi aziende, per conservare o aumentare i profitti, hanno un problema di dipendenza da esportazioni, ossia avere quote di mercato, o vendite, in paesi esteri. Se da una parte questo aumenta il benessere materiale di una nazione, arricchisce moltissimo delle famiglie ed investitori e dà numerosi posti di lavoro, nasconde una fragilità inquietante che ipoteticamente si potrebbe risolvere aumentando i consumi interni anziché soddisfare consumi esteri, cosa che la Germania Nazista ha fatto ma in ottica bellica.

Il presente

Si può dire che possiamo identificare le grandi aziende esportatrici dalla loro nazione. Questo valeva più 100 anni fa che oggi. Nella classifica, espressa in miliardi di dollari di esportazioni, troviamo: Cina (la fabbrica del mondo), gli USA (la democrazia del mondo), e di nuovo la Germania. La Germania, ma anche Francia ed Italia, come nuovo deflusso delle merci hanno adottato una soluzione pacifica di nome Europa. L’Europa, secondo uno dei padri fondatori Altiero Spinelli, funge da ariete contro l’Unione Sovietica (ora Russia) per volontà anche degli USA. L’Europa, infatti, ogni tot anni si espande ad est. Tuttavia gli USA, ben consapevoli del ruolo della Germania nel panorama industriale e più attaccabile della Cina, così come la Germania ha attaccato più facilmente la Polonia anziché il Regno Unito, ha ben deciso di tagliare le gambe all’industria tedesca, e non solo, tramite il gas naturale. Ovviamente servendosi di un paese alleato, come l’Italia per la Germania nazista in Africa: l’Ucraina.

E oggi assistiamo anche a un crescendo di dazi. Sembra una storia già sentita.

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